Il sogno di Esther- Episodio 3

Pausa

Pausa newyorchese

Il giorno che Esther, più affranta e depressa che mai, non voleva saperne di uscire dalla sua stanza, sua madre le confessò la sua pena:

— Se ti lasci andare, per noi sarà una doppia perdita.

E suo padre aveva aggiunto:

— Se fai così, la tua angoscia per me e tua madre, diventa un doppio supplizio che ci porteremo nel cuore, occorre reagire per non sentirci inutili per il resto della nostra vita.

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Era chiaro a tutti che non avrebbero mai superato definitivamente quel lutto, ma Esther si rendeva conto che la sua depressione era diventata ulteriore causa di sofferenza per i suoi genitori, e questo era proprio quello che non voleva.

Avvertiva la sensazione di essere appesa a una fune che si stava lacerando proprio nel punto in cui lei era aggrappata, bastava allungare la mano per lasciarsi lo strappo alle spalle e non perdere la speranza di arrivare fin su in cima.

Così Esther, nonostante il dolore che le aveva persino fatto perdere la voglia di continuare gli studi e spento tutto l’entusiasmo che solitamente la rendeva assai vitale, aveva deciso di districare pian piano il groviglio della sua esistenza. Benny non avrebbe sopportato una sorellina arrendevole, arroccata nella propria malinconia, vicina al collasso esistenziale, priva di azione. Occorreva agire, cambiare ambiente o comunque provare a lenire l’immenso dolore che come una morsa le stringeva il cuore. Dopo un’accurata ricerca su internet, si era messa in contatto con la Scuola Superiore per Medeiatori linguistici a Roma, dove avrebbe seguito per 5 mesi un corso di alta formazione i cui  crediti formativi maturati sarebbero stati riconosciuti anche in America. Era riuscita finalmente ad afferrare la parte sana della fune, che le avrebbe permesso di non cadere rovinosamente nel baratro.

In attesa di espletare tutte le formalità burocratiche per il viaggio in Italia, Esther stava maturando l’idea di trascorrere un po’ di tempo a New York a casa dei nonni Leo e Anna, per fare una full immersion d’italiano. Loro che non avevano mai sostituito la lingua natia con l’inglese, e sebbene spesso suo padre e lei comunicassero in italiano, con i nonni sarebbe stata costretta a utilizzare esclusivamente la lingua di Dante. Suo nonno ricordava a memoria interi passi della Divina Commedia e da piccola Esther restava incantata ad ascoltare quei versi a volte così misteriosi, tanto da faticare a riconoscere la lingua che lei parlava tranquillamente, ma la musicalità sì, quella era la stessa.

Ai suoi genitori  la decisione di andare a New York era sembrata quella giusta: la saggezza dei nonni avrebbe gettato una luce incoraggiante sulla tragedia che la famiglia Florio stava vivendo. Con insperata fiducia, qualche giorno dopo Walter chiamò suo padre al telefono per metterlo al corrente della decisione, sapendo perfettamente che avrebbe mobilitato l’intero parentado per rallegrare la nipote. Era stata dura per tutti, perciò il nonno propose di ospitare per qualche giorno, anche suo figlio e la moglie. Stare tutti insieme avrebbe forse mitigato un po’ il dolore, quanto meno sarebbe stata un’ottima occasione per darsi coraggio a vicenda.

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— Non ti prometto niente papà, — disse Walter, — ma posso parlarne con Cathie. È che ci siamo così concentrati sulla nostra bambina… che non abbiamo più pensato a noi. Certo, adesso che Esther partirà, non sarà facile aggirarsi in questa casa vuota.

— Non c’è bisogno di darmi ora una risposta, parlane con Cathie… aspetta, aspetta un momento, è qui anche tua madre e vuole salutarti.

Dopo un veloce scambio di notizie, Walter mise al corrente sua madre dei programmi di Esther. Sarebbe arrivata non prima della fine di luglio, dopo aver sbrigato tutte le pratiche necessarie, in modo da non dover più ritornare a Chicago e partire direttamente da New York, all’incirca l’ultima settimana di settembre. La conversazione andò avanti ancora un po’, si concluse con la promessa solenne di andarla a trovare quanto prima insieme alla moglie Cathie.

Il soggiorno di Esther a New York si rivelò più piacevole del previsto: aveva incontrato parenti e amici che non vedeva ormai da anni, ma soprattutto era nata una profonda intesa con un paio di cugini suoi coetanei, Andrew e Roger. Con loro un’allegra brigata di nuovi amici, che sapeva di spensieratezza e vivacità, elementi di cui lei aveva tanto bisogno in quel momento delicato della sua vita. Fu davvero una fortuna che quell’anno molto faticoso per tutti, contrariamente alle loro consuetudini, avessero deciso di restare in città per le vacanze, se ce ne fosse stata l’occasione avrebbero tutt’al più organizzato brevi escursioni nei dintorni.

Esther con loro si sentiva meno irrequieta, nonostante a volte provasse il desiderio di estraniarsi da tutto e da tutti, come se una grossa campana di vetro scendesse su di lei e la isolasse. Poi all’improvviso però ne veniva fuori e si mescolava con piacere alle chiacchierate spensierate dei suoi amici.

Le sue giornate erano scandite da ritmi quasi costanti, dedicava la mattinata alla scoperta degli angoli meno noti della città, alla visita dei musei, alla ricerca delle mostre più disparate, alle passeggiate nei parchi in compagnia degli inseparabili cugini e dei nuovi amici, che cercavano di non lasciarla mai sola. Il pomeriggio invece restava a casa con i nonni a chiacchierare a farsi raccontare ancora una volta quelle storie, tra realtà e leggenda, che tanto avevano affascinato lei e suo fratello fin da quand’erano bambini.

— Dai nonna raccontami la storia della Santa Casa che si trova a Loreto.

Nonna Anna, da buona marchigiana, era molto devota alla Madonna Lauretana: nella sua camera da letto troneggiava una statuetta che aveva sempre attratto l’attenzione dei bambini, proprio perché Maria non è riprodotta come al solito con gli occhi azzurri e una pelle quasi eterea, ma la sua immagine è scolpita su un pezzo di legno, diventato nero all’improvviso, un mistero ancor oggi irrisolto. La tesi, secondo la quale il legno si sarebbe scurito a causa di un incendio, pare non sia troppo veritiera, ma non era mai stata fatta un’ipotesi veramente attendibile.

— Allora, — sua nonna cominciava sempre tutti i racconti con “Allora…”, — tu sai bene che la Madonna viveva a Nazareth con i suoi genitori in una casa piccola e fu lì che le apparve l’angelo Gabriele per darle la notizia che presto sarebbe diventata la Madre di Dio. In seguito, quando cominciarono le guerre contro gli infedeli in Terra Santa, ci furono scorribande, distruzioni e violenze. Oltre a morti e feriti, in quei posti alcuni edifici furono demoliti, altri saccheggiati; non si aveva rispetto per niente e nessuno, ma tutti reclamavano diritti per la conquista e il controllo di quei territori.

Il racconto della nonna, pieno di fervore, veniva anche  arricchito di credenze e tradizioni popolari:

— Il Signore però che mette sempre la sua mano su ciò che gli è più caro, non ha permesso che venissero distrutti i simboli della Storia della Salvezza, così diede ordine agli angeli di scendere sulla terra, prendere la Santa Casa, che era stata della Madre di Suo Figlio, e portarla via da Nazareth.

La leggenda poi narra di come, sentito il bisogno di trasferirla in un posto più tranquillo, avvenne la traslazione. Durante la notte tra il 9 e il 10 dicembre per la bellezza del posto e la bontà dei loro abitanti, gli angeli la trasportarono in volo e l’adagiarono in cima alla collina che sovrasta Loreto. Al loro passaggio, tutti gli alberi si piegarono in segno di rispetto e mai più si sono raddrizzati, restando per sempre inchinati davanti alla Santa Casa di Maria.

La mattina seguente gli abitanti di quelle zone sbigottiti trovarono il paesaggio mutato, passata la fase di stupore per quel prodigio, con grande umiltà affidarono le proprie anime alla Madonna, che avrebbe vegliato su loro.